giovedì 30 ottobre 2014

Università piene, fabbriche e campi vuoti




C’è un veleggiare miope quando si parla di disoccupazione e disoccupazione giovanile. Ci sono numeri contrastanti e tra loro contraddittori su cui pochi si basano e nessuno si sofferma.


Sono i numeri legati alla formazione dei giovani e degli studenti italiani.


In Italia sforniamo meno laureati che nel resto d’Europa. Però in Italia il mercato dei professionisti è saturo e mancano lavoratori meno qualificati per mansioni manuali. Si dice che i laureati italiani facciano per lo più lavori per i quali sono troppo qualificati (vedi laureati nei call center o ingegneri che fanno i periti).


La mancanza invece di lavoro professionale è coperta in larga parte da immigrati (edilizia, industria e agricoltura) perché i giovani italiani per lo più fanno l’università o non studiano più dopo aver fatto delle scuole che non rilasciano però diplomi professionali (licei in prevalenza).


La moria degli istituti tecnici e professionali è lampante e palese, istituti da cui dovrebbero uscire fior fiore di tecnici e operatori sono oggi sulla soglia della chiusura per mancanza di iscritti mentre i licei raddoppiano il numero di iscrizioni. I giovani che escono da questi istituti (vedi alberghiero e agrario su tutti) trovano lavoro in brevissimo tempo senza la necessità di iscriversi a un altro corso post scolastico.


Le università invece traboccano di iscritti e i corsi più blasonati (magari quelli senza numero chiuso a cui spesso si accede per ripiego) sfornano un numero insostenibile (nel senso che la domanda è nettamente inferiore all’offerta) di laureati (giurisprudenza, psicologia, lettere su tutti) che poi rimangono disoccupati o hanno una mansione sottoqualificata.


Allora io mi domando: di fronte alla media europea di laureati (che tipo di imprese hanno nel resto d’Europa? Più terziario o secondario o primario? E noi? Che tipo di mansioni ricercano loro? E noi?) è giusto che in Italia dobbiamo tutti uscire laureati? Cosa cerchiamo?


La qualifica di una persona (perché spesso ci si iscrive all’università perché altrimenti sei un fallito e uno sfigato che non sa nulla) si misura dal pezzo di carta che ottiene studiando? Se abbiamo bisogno di 1000 agricoltori e 10 avvocati, perché dobbiamo sfornare 1000 avvocati e 10 agricoltori? Se abbiamo bisogno di 1000 tornitori e 10 psicologi, perché dobbiamo sfornare 1000 psicologi e 10 tornitori?


Io penso che sia il caso di recuperare la formazione professionale, gli istituti tecnici, qualificare gli istituti agrari e sponsorizzare meno i licei. Ma non perché non è giusto che siamo tutti liceali e futuri universitari, ma perché non tutti lo siamo portati, perché non ne abbiamo bisogno, perché la vita si misura su chi sei e non su quanto hai studiato (magari in 10 anni visto che abbiamo anche il numero più elevato di studenti fuori corso). 
Anche per recuperare il vero valore di un pezzo di carta come la laurea, oggi straccetto valido tanto quanto 20 anni fa un diploma, che tutti richiedono ma che nessuno sfrutta.


Strutturalmente è doveroso riconoscere compensi  adeguati per chi mette la testa, ma mette anche le mani e il sudore (è poco forse un compenso di 10cent per un kg di carote al contadino...quando gli va bene) e recuperare il senso di dignità per quei lavori oggi visti con snobbismo e con superficialità pensando che: “meglio che lo facciano gli altri, non è per me”.


Forse tra le varie riforme “strutturali” di cui questo Paese ha bisogno c’è anche quella della formazione secondaria e post scuola dell’obbligo per aggiustare meglio i numeri perché è frustrante essere disoccupati, è frustrante essere sotto mansionati e sotto pagati ed è frustrante pensare che: “mi iscrivo all’università, ma so già che dopo non troverò niente”!

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