domenica 6 settembre 2015

Tamponiamo le ferite, ma quando le ricuciamo?


Molti si sono giustamente soffermati sulla foto del piccolo Aylan senza vita sulle spiagge turche. Molti di noi hanno pianto a vedere quell'ingiustizia, molti se la sono presa col mondo intero, con chi di quella morte ha persino gioito e se ne augura altre, con chi ha scattato e pubblicato quella foto.. Ciascuno di noi ha reagito in un modo più o meno composto e ragionato! Sicuramente ci ha scosso.

Ma pochi si sono soffermati su quest'altro bambino, qualche anno più grande di Aylan, ma che con un ottimo inglese e poche semplici parole ha spiegato qual è il problema dei migranti, il perchè centinaia di migliaia di persone stanno invadendo l'Europa cercando asilo e aiuto.

A 13 anni dice: "Fermate la guerra in Siria e non avrete più migranti"

Già!!!

Perchè la gente che sta invadendo l'Europa, che cerca di varcare i confini ungheresi per arrivare in Germania, Francia o Inghilterra, che arriva con i barconi in Italia e Grecia, che cerca un passaggio dalla Spagna, sta fuggendo da qualcosa, da qualcosa che atrocemente la spinge ad abbandonare con una valigia la propria casa, il proprio lavoro, la propria vita. La guerra. Una guerra nata dall'espropriazione delle risorse, dal fondamentalismo religioso, dal desiderio di vendetta e di rivalsa su secoli di dominazioni abusive straniere... Guerre che nei secoli abbiamo fatto maturare noi, guerre che oggi più che mai esplodono nella loro ferocia. Noi che oggi ci accapigliamo sul dubbio: li accogliamo o no?

Quella stessa guerra che 70 anni fa ha visto noi profughi all'estero, ha visto noi rifiutati e clandestini, ha visto noi affamati e desiderosi di rivalsa e di pace, ha visto noi doverci nascondere e vivere cercando di sopravvivere al pregiudizio, al rifiuto, alla negazione di un lavoro, allo sfruttamento. 
Oggi lo vivono loro e noi siamo i carnefici dall'altra parte... Abbiamo portato in casa loro la guerra, ora loro fuggono e noi li rifiutiamo, ci domandiamo se possiamo permetterci di aiutarli o no. Magari chi lo dice mangia una volta sì e l'altra pure pesce al ristorante e si fa le vacanze in Sardegna o oltreoceano, però l'Italia non può permettersi di aiutare i profughi.

Ma grazie a Dio c'è chi ancora prima della decisione miope dei governanti ha già pensato di accogliere come può queste persone sfortunate, in casa, in parrocchia e negli oratori, nei centri accoglienza, nelle palestre... Cerca di dare loro un pasto caldo, una coperta per la notte, un vestito pulito. La macchina della solidarietà è quella macchina che si mette in moto silenziosamente e con una velocità disarmante che la storia ci ha insegnato ad accendere e a muovere subito. Mi vengono in mente i bimbi nati a bordo delle vedete della guardia costiera, di uomini e donne accolti nelle comunità, abbracciati e consolati a cui una parola di speranza non basta, ma serve ad alleggerire una sofferenza incredibile.

E giustamente ora i governanti dei Paesi della UE si stanno accorgendo che prima ancora che loro prendano una decisione, il popolo quella decisione l'ha già presa, ancora prima che loro parlino di quote e di smistamenti, il popolo le quote le ha già fatte, chi ha bisogno di aiuto, in qualche modo l'aiuto lo trova... la più bella testimonianza della nostra cultura cristiana, la carità che si leva e che muove le nostre coscienze.

Ma tornando alle parole del giovane nel video, i governanti sono ancora indietro con i loro ragionamenti, sono miopi e non capiscono, pensano ad arginare un'emergenza, ma il problema esiste da non meno di 3 anni e mezzo, quando tutti condannavano Assad il dittatore che combatteva le prime infiltrazioni terroristiche che oggi sembrano irrefrenabili.. E ci accorgiamo di avere le spalle al muro, che la ferita va tamponata e non ricucita, la miopia dell'emergenza non ci fa capire che l'unico modo per aiutare i migranti è sì accoglierli, ma è portare la pace dove noi l'abbiamo portata via (abbiamo contribuito a toglierla). 

Nessuno ancora ha aperto un tavolo di dibattito e di discussione su come fermare il terrorismo, su come far si che chi fugge abbia la gioia (perchè loro non desiderano altro, in realtà) di tornare a casa, di crescere i figli nella loro terra, di vedere i genitori invecchiare nella loro terra.. Come Ulisse che fece di tutto pur di tornare a casa!!!

Chissà quanto tempo ci metteremo per capire qual è l'origine del problema, mi chiedo perchè non ci riusciamo mai, se è un problema di vedute o se è un problema di volontà..
Li aiuteremo, noi faremo di tutto per loro, anche la mia casa se dovesse servire sarebbe aperta per loro, ma quando faremo qualcosa per aiutarli a tornare a casa??

sabato 1 agosto 2015

Ma che cattolici siamo diventati???



Spesso e volentieri mi piace fermarmi per osservare la realtà che mi circonda!!

Dopo un periodo di grosso fermento, in cui a spada tratta mi scagliavo contro iniziative e, purtroppo, persone, ho pensato che forse mi dovevo farmare un po' per capire se ciò che stavo portando avanti fosse giusto e se la strada per ottenere ciò che speravo fosse quella corretta.

E ho capito che no, stavo sbagliando, nella comunicazione e nella relazione.

E purtroppo guardandomi attorno mi rendo conto che moltissimi come me, stanno commettendo questo errore. In particolare persone cattoliche.

Nel corso degli anni noi cattolici ci siamo cuciti addosso un vestito che non è propriamente quello che Gesù, colui che seguiamo, ha disegnato per noi..
Abbiamo rinunciato a parlare di povertà, di accoglienza, di perdono, di misericordia, di solidarietà, di assistenza, di sviluppo, di onestà, di legalità, di pace etc etc etc e ci siamo focalizzati monotematicamente sulla morale sessuale. Ci siamo fatti fregare dei temi che erano nostri e che noi in prima linea con la bandiera di Cristo, avremmo dovuto lottare per diffondere, difendere e custodire.

Invece a tutto ciò abbiamo rinunciato, nei luoghi pubblici, nelle parrochie, nelle associazioni (non tutte grazie a Dio, non sto facendo di un'erba un fascio, generalizzo per dovere di cronaca) e abbiamo preferito diventare dei grandissimi moralizzatori sulla sessualità altrui. Non che questo sia un tema da scartare, ma da qui a farlo diventare l'unico ho l'impressione che si stato un errore strategico che ora da recuperare sarà durissima.

Ci occupiamo giornalmente, su fb in particolar modo, ma anche nei dibattiti e negli incontri che organizziamo (rigorosamente intra moviento/associazione, non sia mai aprirsi all'esterno), di  ammonire, spesso anche con toni duri e poco cristiani, chi del proprio corpo, è vero, abusa, trascurando totalmente la realtà più complessa della vita di quella persona. E giù allora con giudizi, opinioni, etichette, classificazioni, tutta una serie di epiteti che gioco forza, colui che si sente in tal modo respinto, allontanano e creano muri e divisioni difficilmente sormontabili.

E dove siamo arrivati? Ad una situazione che vede la società spaccata in: cattolici moralizzatori che "sesso prematrimoniale no", "sesso omosessuale no", "aborto no", "fecondazione assistita no" (non sto entrando nel merito dei temi) e atei/agnostici che "i cattolici sono bigotti", "i cattolici devono stare zitti", "i cattolici sono arretrati" etc.. Che dialogo si crea quindi così???
Dopo che abbiamo moralizzato un omosessuale che quello che fa non è "intrinsecamente ordinato", cosa abbiamo dato a lui per migliorare la sua vita, per accoglierlo? In che modo gli abbiamo dimostrato di amarlo? Gesù disse "ama i tuoi nemici", Gesù disse anche "se un tuo fratello sbaglia, ammoniscilo perchè non sbagli più". Ma qui l'equilibrio tra gli insegnamenti è stravolto.

Passiamo le giornate ad ammonire in modo severo e a disprezzare i nostri fratelli che sbagliano (scagliando noi la prima pietra visto che siamo senza peccato e non vedendo la pagliuzza nel nostro occhio, convinti che non ci sia) curandoci della loro sessualità quanto più che della nostra, e abbiamo perso di vista tutti i temi e i valori che un buon cristiano (specie chi si impegna nel sociale e nella politica) dovrebbe difendere e promuovere.

Quindi facciamo due errori:

1. Disprezziamo e giudichiamo anzichè accogliere e dare il buon esempio perchè venga la voglia di imitarci.. E' Gesù che cambia i cuori, non noi, è Lui che opera nelle persone, non le nostre invettive. Comportiamoci da buoni cristiani, nella carità e nella misericordia, dando l'esempio di felicità e gioia che un vero Cristiano dovrebbe sprizzare da ogni poro.

2. Siamo monotematici e ora nessuno vuole più starci a sentire, perchè saprà già che tanto quello che gli diremo è che non deve usare il preservativo e non deve avere rapporti omosessuali, mentre invece a leggere la Bibbia e a voler annunciare al buona novella avremmo così tanti temi da affrontare e da raccontare per far appassionare e innamorare le persone di Gesù che a nessuno è mai bastata la vita intera (se ci pensate ogni Santo aveva un carisma particolare).

Sono particolarmente critico nei nostri confronti, stiamo sbagliando tanto e non ce ne stiamo rendendo conto.. Alla gente non interessa più gesù, lo vogliono togliere dai luoghi pubblici, non vogliono venire a messa, non vogliono ascoltare un brano del vangelo, si infastidiscono se su Fb si pubblica una frase o una paginetta presa dalla Bibbia, non vogliono stare a sentire sacerdoti e vescovi, non vogliono mediare su determinati temi a livello politico... si è creata una frattura abbastanza seria, la vedo difficile riuscire a ricucirla, ci vorrà molto tempo e molto impegno!!

Questo mi fa abbastanza star male, non è giusto, non è ciò che dovremmo essere.. ma grazie a Dio qualcuno che rema controcorrente c'è, speriamo di renderci conto che è bene ammonire, è bene intransigere su certi temi di dibattito, ma è anche bene smettere di giudicare. 
Non spetta a noi.. tanto meno sulla fede e sull'anima altrui!!

Riscopriamo la bellezza di essere esempio e testimonianza, di essere portatori di pace, di onestà, invadiamo il mondo di gioia e di amore, di carità e di perdono... magari le cose poi cambiano davvero!!

giovedì 19 marzo 2015

Papà: l'eroe e il mito che insegna la vita




Oggi è un bel giorno, è la festa di tutti i papà.

Da bambino a scuola ricordo quando le maestre ci facevano fare i lavoretti, imparare le canzoncine e le poesie e poi a tavola ci si alzava sulla sedia e la si ripeteva nel giorno di festa, con un po’ di innocente vergogna, ma orgogliosi del proprio papà.

Il papà è quella figura mitica che per noi maschietti rappresenta da sempre il modello di ispirazione, il grande eroe a cui ispirarsi e di cui dire: un giorno voglio essere forte come lui. Quando si è bambini lo sguardo d’ammirazione nei confronti di una figura così “gigantesca” per noi è lo specchio dentro il quale i guardiamo e stampiamo nella nostra mente una figura che ci porteremo dietro per sempre.
Perché da neonati c’è solo la mamma, il suo odore, la sua voce.. Ma poi quando si prende confidenza con questa barbuta e misteriosa figura si crea quell’equilibrio di ruoli che ci fa sentire stabili.

E’ il papà è proprio questo, colui che bilancia nella nostra visione del mondo la dolcezza e la sicurezza della mamma. Come quando imparando a nuotare ti stacchi un po’ dal bordo (la mamma) e cerchi di raggiungere la prima boa utile (il papà), colui verso il quale miri, il tuo eroe che sconfigge tutti i nemici. 

Perché se la mamma è colei verso la quale rifugiarsi, trovare conforto, dolcezza, accoglienza, sotto la cui ala ripararsi dal freddo e a cui chiedere tenerezza, il papà è quella grossa colonna che sorregge la baracca, il capitano che indica la via da seguire, la direzione verso cui fare vela, quello da seguire per imparare la vita, quello che poi quando qualcosa non va te le suona di santa ragione. No, non un amico con cui condividere la strada, ma il vincastro su cui appoggiarti, la guida di cui non puoi fare a meno. Colui che silenziosamente aggiusta un po' il tiro che stai per fare, colui che vigila, che non si fa vedere ma c'è, colui che quando non riesci a far qualcosa ha sempre il trucchetto in modo tale che tu riesca senza che, come una magia, ti renda conto del come.

E il mio papà (babbo meglio) per me è stato questo, e lo ringrazio, perché non mi ha dato tenerezza e appoggio (qualche volta anche quella, ma nei momenti giusti), ma mi ha guidato, mi guida, è ancora il mio eroe e il mio mito, colui che ce l’ha fatta e ce la sta facendo, che mi ha dato le bastonate quando ce n’era bisogno e che ha completato la tenerezza di mia mamma con la sua autorevolezza mai umiliante e sempre presente. Senza di lui oggi non sarei ciò che sono e se qualche volta ho pensato che esagerasse (si dai, forse qualche volta hai esagerato babbo), oggi so che mi ha fatto bene quel suo modo un po’ duro di dirmi le cose e mi è servito il suo sapermi parlare con franchezza e con poca titubanza, per farmi capire le cose della vita, per farmi diventare una persona adulta e matura perché ad ogni schiaffo son sempre seguite 10 sagge parole. 

E mi ha sempre consolato quando ero sconfortato e mi ha guidato quando non sapevo dove andare, perchè se la mamma ti coccola e ti rassicura, il papà deve mostrarti la strada per farcela da solo. E’ un compito molto arduo, me ne rendo conto, di sacrificio e abnegazione, fortissima, annullare se stessi, morire per amore dei figli e della famiglia. 

E il mio pensiero va a tutti coloro che un papà non l’hanno avuto, o se l’hanno avuto sarebbe stato meglio che non lo avessero avuto. Penso a loro e auguro loro di poter diventare quei papà di cui son stati privati, forti e fieri, gli eroi e il mito nei sogni dei propri figli!

Grazie babbo!!

venerdì 14 novembre 2014

Che male c'è?




Siamo nell’epoca del “ che male c’è?”, l’epoca in cui a tutto c’è una giustificazione, l’epoca in cui in niente c’è una responsabilità. 


…L’auto doppia fila o in sosta con le 4 frecce nel parcheggio dei disabili… che male c’è? Ci sto un momento…

…Il biglietto del pullman o del treno non pagato… che male c’è? Son solo due fermate… L’azienda non fallirà per 1,5€…

…Un bilancio truccato… che male c’è? Ho salvato la mia azienda così…

…Uno sguardo malizioso o una mano dispettosa… che male c’è? Non è come sembra, stavo scherzando…

…Un dito messo per gioco in una scollatura… che male c’è? Le ho toccato lo sterno…
...Un calendario di una giovane ragazza nuda... che male c'è? L'ha scelto lei...

…Una battuta offensiva, una parola di troppo per far ridere qualcuno… che male c’è? Non sarai permaloso?...

…Gonfiare un ragazzino con un compressore… che male c’è? Era un gioco, mio figlio è un bravo ragazzo…

…Una tassa evasa, uno scontrino non emesso… che male c’è? Si paga troppo in questo Paese, lo Stato non fallirà per i miei 100€…

…Il sesso con chiunque ci stia, il sesso a 13 anni… che male c’è? E’ una mia scelta…

…La droga, la sbronza ogni sabato… che male c’è? E’ per divertirmi, non faccio del male a nessuno…

…Una tangente per un appalto… che male c’è? L’importante è fare le opere, infondo ovunque funziona così..

…Le sale slot, i bar e le tabaccherie con le slot… che male c’è? E’ solo un gioco come un altro…

…Giocare alle slot, i gratta e vinci… che male c’è? E’ solo un tentativo di incontrare la fortuna…

…Una parola non detta a un amico che ce la chiede… che male c’è? Gliela dirò domani…

…Una preghiera non fatta, un grazie non detto… che male c’è? Li dirò domani…

…Un insulto dietro a un PC… che male c’è? Peggio per lui che ha detto una cazzata…

…L’Iphone da 900€, un televisore da 3000€ pagato a rate… che male c’è? Le rate aiutano a pagare chi non può…

…Un anziano in una clinica, andare a trovarlo una volta a settimana se si ha tempo… che male c’è? Là è super accudito…

…Un bambino abortito… che male c’è? Quella non è vita…

…Un bambino fecondato da una coppia, gestato da una terza, cresciuto da chi forse non l’ha nemmeno fecondato, magari l’ha però pagato… che male c’è? Per crescere ha bisogno solo di amore…

…Prendere sottogamba le sofferenze e le difficoltà di una persona in una discussione, non guardare chi abbiamo davanti, ma solo le sue idee… che male c’è? Non sai dibattere e stare al dialogo?...

…Lavorare fino alle 11 di sera, dimenticarsi della famiglia… che male c’è? Avrò tempo per loro domenica, ora sto guadagnando il pane che porto loro in tavola…



Quante volte diciamo in una giornata “ma si, che male c’è?” senza pensare al male che c’è e che non vogliamo vedere, perché ci lava la coscienza, perché ci toglie un peso, perché sgombra il cuore da ogni fatica… Eppure dietro ogni “che male c’è?” c’è sempre qualcuno che soffre, un’opportunità persa, un torto fatto indirettamente a chi magari nemmeno conosciamo!


Responsabilizzare è costruire il futuro,  educare al Bene e al Male crea il discernimento per rendere gli uomini liberi, farsi carico gli uni degli altri crea solidarietà e attenzione per il bene comune!! Dire che il male non c’è è lasciare che questo trionfi incontrastato…


Ma la sofferenza c’è, esiste, non la potremo mai nascondere… e ad essa non riusciremo mai a dire “che male c’è?”

E quando siamo soli, in silenzio, al buio e pensiamo, riusciamo lo stesso a dire: che male c'è?

venerdì 7 novembre 2014

Quando Gigi Riva tornerà: auguri Rombo di Tuono!!!


Chissà, quando tornerà Gigi Riva.

Il campione che ha portato il primo e (per ora) unico scudetto in terra sarda di sardo fino al 1962, quando arrivò a Cagliari a 18 anni non aveva nulla.
Poi gli anni costruirono in lui un desiderio, crearono dentro di lui un amore che non ha più lasciato.

Si innamorò di Cagliari e dei sardi e ancora oggi, giorno del suo 70esimo compleanno, vive ancora nella città che lo rese celebre.
Col Cagliari vince lo scudetto, giocò la Coppa dei Campioni, fu bandiera della nazionale che nel '70 sfiorò l'impresa in Messico, e mai abbandonò la casacca bianca coi bordi rossoblù fino a quando decise di appendere le scarpe al chiodo.

Un bandiera, che ha saputo dare se stesso ad una causa, che nonostante blasonate e molto più stimolanti proposte di altre squadre decise di continuare a calcare i campi cagliaritani.

Quella di Gigi Riva è una storia molto particolare, molto pochi furono i calciatori che decisero di fare scelte così difficili, ma, a sentirlo raccontare, così soddisfacenti. Perchè a Cagliari Riva ha costruito la sua vita, si è sposato, ha avuto dei figli, ha guidato i suoi affari e ancora oggi quando passeggia per le vie del centro non può mai mancare uno sguardo d'ammirazione.

Persino io, quando bambino passavo di fronte a casa sua e lo vedevo, mi emozionavo pensando alla gloria del suo nome e di quel Cagliari di eroi.

Una vita privata molto travagliata, ancora oggi si dice che ne paghi le conseguenze, ma un campione vero che la città ama indissolubilmente, che ancora oggi è sulla bocca di tutti, che i bambini imparano a conoscere da subito e cercano di imitarlo fin dai primi calci al pallone.

E chissà quando tornerà Gigi Riva, chissà quando vedremo un altro campione come lui passare per le nostre vie, scegliere di legarsi a una città piccola, ma assai accogliente e a un popolo che difficilmente si lega ad un campione, ma quando lo fa lo porta sull'Olimpo.
Oggi uno che ricalca quelle orme c'è, si chiama Daniele Conti, è il nostro capitano!!!

Auguri Gigi, a chent'annos!!!!

giovedì 30 ottobre 2014

Università piene, fabbriche e campi vuoti




C’è un veleggiare miope quando si parla di disoccupazione e disoccupazione giovanile. Ci sono numeri contrastanti e tra loro contraddittori su cui pochi si basano e nessuno si sofferma.


Sono i numeri legati alla formazione dei giovani e degli studenti italiani.


In Italia sforniamo meno laureati che nel resto d’Europa. Però in Italia il mercato dei professionisti è saturo e mancano lavoratori meno qualificati per mansioni manuali. Si dice che i laureati italiani facciano per lo più lavori per i quali sono troppo qualificati (vedi laureati nei call center o ingegneri che fanno i periti).


La mancanza invece di lavoro professionale è coperta in larga parte da immigrati (edilizia, industria e agricoltura) perché i giovani italiani per lo più fanno l’università o non studiano più dopo aver fatto delle scuole che non rilasciano però diplomi professionali (licei in prevalenza).


La moria degli istituti tecnici e professionali è lampante e palese, istituti da cui dovrebbero uscire fior fiore di tecnici e operatori sono oggi sulla soglia della chiusura per mancanza di iscritti mentre i licei raddoppiano il numero di iscrizioni. I giovani che escono da questi istituti (vedi alberghiero e agrario su tutti) trovano lavoro in brevissimo tempo senza la necessità di iscriversi a un altro corso post scolastico.


Le università invece traboccano di iscritti e i corsi più blasonati (magari quelli senza numero chiuso a cui spesso si accede per ripiego) sfornano un numero insostenibile (nel senso che la domanda è nettamente inferiore all’offerta) di laureati (giurisprudenza, psicologia, lettere su tutti) che poi rimangono disoccupati o hanno una mansione sottoqualificata.


Allora io mi domando: di fronte alla media europea di laureati (che tipo di imprese hanno nel resto d’Europa? Più terziario o secondario o primario? E noi? Che tipo di mansioni ricercano loro? E noi?) è giusto che in Italia dobbiamo tutti uscire laureati? Cosa cerchiamo?


La qualifica di una persona (perché spesso ci si iscrive all’università perché altrimenti sei un fallito e uno sfigato che non sa nulla) si misura dal pezzo di carta che ottiene studiando? Se abbiamo bisogno di 1000 agricoltori e 10 avvocati, perché dobbiamo sfornare 1000 avvocati e 10 agricoltori? Se abbiamo bisogno di 1000 tornitori e 10 psicologi, perché dobbiamo sfornare 1000 psicologi e 10 tornitori?


Io penso che sia il caso di recuperare la formazione professionale, gli istituti tecnici, qualificare gli istituti agrari e sponsorizzare meno i licei. Ma non perché non è giusto che siamo tutti liceali e futuri universitari, ma perché non tutti lo siamo portati, perché non ne abbiamo bisogno, perché la vita si misura su chi sei e non su quanto hai studiato (magari in 10 anni visto che abbiamo anche il numero più elevato di studenti fuori corso). 
Anche per recuperare il vero valore di un pezzo di carta come la laurea, oggi straccetto valido tanto quanto 20 anni fa un diploma, che tutti richiedono ma che nessuno sfrutta.


Strutturalmente è doveroso riconoscere compensi  adeguati per chi mette la testa, ma mette anche le mani e il sudore (è poco forse un compenso di 10cent per un kg di carote al contadino...quando gli va bene) e recuperare il senso di dignità per quei lavori oggi visti con snobbismo e con superficialità pensando che: “meglio che lo facciano gli altri, non è per me”.


Forse tra le varie riforme “strutturali” di cui questo Paese ha bisogno c’è anche quella della formazione secondaria e post scuola dell’obbligo per aggiustare meglio i numeri perché è frustrante essere disoccupati, è frustrante essere sotto mansionati e sotto pagati ed è frustrante pensare che: “mi iscrivo all’università, ma so già che dopo non troverò niente”!